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«Non distogliere lo sguardo dal povero» (Tb 4,7)

Dall’esperienza dei profughi che occupano gli spazi antistanti la chiesa di Gesù Buon Pastore possiamo capire tante cose.

I profughi senza tetto

In questi giorni la notizia di alcuni profughi somali (così definiti), fuoriusciti da un Centro di Accoglienza Straordinaria, che hanno preso possesso degli spazi antistanti la chiesa del Gesù Buon Pastore, sta attirando l’attenzione di molti cittadini, soprattutto degli abitanti del quartiere Monte Rosello.

Molte persone di buona volontà stanno facendo sentire la propria vicinanza fornendo il loro sostegno, soprattutto materiale, che col passare dei giorni sta aumentando in maniera esponenziale.

La Caritas diocesana con il Direttore e alcuni volontari ha voluto conoscere la situazione incontrando direttamente i ragazzi e informandosi dei motivi di questo loro disagio, per comprendere meglio quali bisogni venivano manifestati dai profughi e avere chiarezza sul loro effettivo status giuridico.

E’ emerso che oltre le immediate necessità di approvvigionamento di cibo, servizi igienici e un tetto, vi è la loro generale condizione che rende più complessa la risoluzione del problema.

Il loro status ora, avendo ottenuto il permesso di soggiorno per motivi umanitari (non valido ancora per l’espatrio) è di cittadini che possono regolarmente circolare nel territorio nazionale e quindi non possono essere trattenuti in nessun CAS (centro di accoglienza straordinario). Va ancora compreso se si tratta di Rifugiati o meno. Dall’incontro con i giovani somali si è evidenziata la mancanza di una prospettiva futura: non sanno dove andare e non hanno alcun riferimento parentale o sociale.

Per questo definire la situazione in termini emergenziali risulta improprio, soprattutto pensando che non è la prima volta che capita e che si prevedono flussi analoghi di uscita dai CAS nei prossimi giorni.

Seppure nelle ultime ore si sia trovata una soluzione temporanea in alcuni spazi della Parrocchia del cuore Immacolato, stando a queste conoscenze appare più opportuna la scelta di una struttura pubblica che offra l’ospitalità essenziale in condizione di stabilità temporale.

In questa logica, che richiama una certa capacità progettuale, la Caritas diocesana si mette a disposizione delle istituzioni ad iniziare dall’Amministrazione comunale, offrendo tutta la propria disponibilità possibile relativa ai servizi alla persona: fornendo alimenti tramite la Mensa, servizi igienici tramite il Centro Diurno di via Principessa Maria, accompagnamento giuridico per il disbrigo della documentazione necessaria con l’intermediatrice culturale, assistenza sanitaria con il proprio Ambulatorio medico per immigrati.

Purtroppo le strutture di accoglienza, come l’Ostello di via Galilei e le case allestite propriamente per l’ospitalità dei rifugiati sono al completo. Altre strutture ecclesiali (diocesane, parrocchiali, religiose) utilizzate per le normali attività pastorali, non possono essere disponibili proprio per l’incertezza dei tempi di risoluzione dei problemi suddetti. L’ospitalità, infatti, ha necessità di un accompagnamento costante e quotidiano atto a favorire principalmente l’integrazione, così come ci dice l’esperienza impegnativa che alcune famiglie tutor stanno facendo con il Progetto “Rifugiato a Casa mia” della Caritas attraverso il quale da circa sette mesi vengono seguiti 11 profughi provenienti da diverse nazionalità.

Solo una soluzione di presa in carico totale con le suddette caratteristiche di accompagnamento e la disponibilità di molte persone e famiglie, può rendere possibile la gestione di un fenomeno che si preannuncia solo agli inizi in tutta la sua complessità.

Va apprezzata la presenza del Parroco don Giovanni Morittu impegnato da anni nella carità in un territorio sofferente di tante povertà, a lui la solidarietà e l’aiuto della Caritas diocesana che è disponibile a raccogliere e coordinare iniziative ecclesiali in risposta alle esigenze di oggi degli 8 somali e più in generale per il tema dell’accoglienza davanti alle sofferenze dei giovani nella loro condizione di profughi/rifugiati.

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