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«Non distogliere lo sguardo dal povero» (Tb 4,7)

In campo contro il freddo

Articolo disponibile anche nel settimanale Libertà n. 4 – 2021

Con l’arrivo del grande freddo il pensiero corre veloce a chi vive per strada, uomini e donne che una serie di circostanze fortuite ha portato ai margini delle nostre città. Nel vedere una persona che dorme sotto i portici o sotto un ponte, dentro un rudere o avvolto da cartoni, ci si sorprende spesso a pensare come sia possibile incontrare, nella realtà contemporanea, esistenze così al limite della condizione umana.
La risposta più immediata potrebbe essere quella di offrire loro ospitalità in strutture di accoglienza, garantendo un letto e del cibo, tuttavia evitando le semplificazioni, spesso comode, che vedono il problema contingente, si può comprendere come la complessità del fenomeno imponga una analisi più approfondita che aiuti a individuare soluzioni consone
ai bisogni che si celano dietro un senzatetto. Una sollecitazione, questa, che riguarda in particolar modo gli enti e le istituzioni che si occupano di politiche sociali, ma la risposta non può essere limitata a interventi di carattere amministrativo e logistico, perché il fenomeno interpella l’intera collettività. Infatti, senza una conoscenza particolare e approfondita del
problema, che comprende concetti diversi di povertà, si rischia di ridurre il bisogno di chi vive per strada alla sola offerta di un letto e non si spiegherebbe, allora, il fatto che, nonostante le attuali scarse disponibilità, risulti esserci più della metà dei posti letto disponibili nella citta di Sassari, distribuiti tra Ostello della Caritas, in via Galilei, dormitorio comunale, in via Duca degli Abruzzi, Ostello femminile, in via Maddalena, Ospizio dei Cappuccini nel quartiere omonimo.
Tutti spazi gestiti con metodi differenti e in alcuni casi, va detto, anche con qualche problema di carattere strutturale.
In quasi tutte le accoglienze viene offerta la cena e la colazione oltre ai servizi igienici.

A questi va aggiunto il centro diurno «Suor Giuseppina Nicoli», in via Principessa Maria, che ogni giorno consente l’utilizzo di docce e macchine lavatrici; alcune case che il servizio immigrazione della Caritas diocesana ha messo a disposizione di 32 immigrati, tra i quali diversi minori; 7 studenti, di cui tre arrivati grazie all’accordo dei cosiddetti “corridoi” universitari. Si tratta di un programma che oltre all’Ateneo, vede schierate Caritas, Fondazione Accademia, casa di popoli culture e religioni, Ersu (Ente regionale per il diritto allo studio universitario) e Comune. Ancora, da un anno, a Sassari ,vive una famiglia siriana, arrivata in città dal Libano grazie al recente corridoio umanitario. Sebbene oggi non sia facile avere un numero certo delle persone che vivono nella precarietà per mancanza di fissa dimora, soprattutto a causa del numero fluttuante di tanti immigrati consegnati alla strada dopo la chiusura dei Centri di accoglienza straordinaria, occorre focalizzare i veri bisogni delle singole storie per trovare le giuste soluzioni. Si tratta di conoscere persone che portano sulle spalle il pesante fardello di traumi psicologici e diverse patologie, allora va da sé che qualsiasi analisi della situazione non può prescindere dalla conoscenza di individui che, per scelta o necessità, vivono all’aperto. Chi è costretto a fare questa vita, per esempio, soffre non di rado di dipendenze causate dalla condizione di povertà che lo ha portato al disagio. Molti di loro non accettano regole e convivenze organizzate e perciò quando vengono accolti negli ostelli, possono creare conflitti tra gli ospiti e dopo alcuni giorni, addirittura, lasciare volontariamente l’ospitalità per tornare nella precarietà della strada riunendosi ai vari nuclei che si autocostituiscono occupando capannoni abbandonati, ruderi malconci nella periferia delle città, o trovando nelle panchine dei giardini della stazione un giaciglio per la notte. L’approccio al problema da parte della comunità ecclesiale parte certamente dalla persona, dalla sua storia, dalle sue relazioni familiari e sociali. In questo modo gli operatori si fanno prossimi anche tramite l’accompagnamento personale che inevitabilmente coinvolge le istituzioni, sanitare, amministrative, ma anche quelle associazioni e quegli organismi che si occupano, nello specifico, di dipendenze.
Per questo la formazione degli operatori e dei volontari risulta sempre più imprescindibile e necessaria per non lasciare all’improvvisazione la cura di coloro che vivono nel bisogno materiale e spirituale, consentendo così di divenire sempre più comunità accogliente, inclusiva, responsabile, Chiesa-Casa dalle porte aperte che genera discepoli missionari nella generatività e nella fraternità, secondo le indicazioni magisteriali del nostro vescovo Gian Franco. 

Gian Franco A.

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